vida teatro anatomico venezia

La Vida, il Teatro Anatomico, le okkupazioni.

Si affaccia sul pittoresco Campo di San Giacomo dell’Orio, questo palazzo dalla forma particolare. Esso fu Teatro Anatomico, luogo in cui i medici studiavano appunto il corpo umano dissezionando cadaveri e le levatrici imparavano la pratica ostetricia. Fu distrutto da un incendio nel 1800 e ricostruito.

Quindi ebbe altre destinazioni abitative fino ad essere sede Arci Gay, una trattoria e un archivio della Regione Veneto in tempi più recenti. La proprietà era della Regione Veneto fino a pochi mesi fa, quando l’imprenditore Alberto Bastianello lo ha acquistato con l’intenzione di farne un locale pubblico.

vida teatro anatomico venezia

Mal gliene incolse!

La sua iniziativa privata a scopo di lucro s’è infranta nelle granitiche opposizioni di un gruppo agguerrito, tutto teso nell’impedire che un tale mercimonio possa aver luogo.

Si sono mosse anche Associazioni note, che forse cercano visibilità in ogni tipo di contumelia, nella pretesa di difendere una residenzialità veneziana decadente, sempre più vilipesa da masse feroci di turisti pronti a tutto.

I media locali si sono subito avvicendati nel dare testimonianza diuturna, anche per arredare opportunamente di notizie le pagine locali e, di conseguenza, avere i riscontri necessari in conto economico. Tuttavia pare che la cosa abbia sfumature differenti agli occhi del cittadino vivace e di puntuale senso civico.

Infatti in pochi giorni dalla notizia dell’alienazione, l’immobile è stato okkupato. Insomma, alcuni abitanti dei dintorni e forse anche d’altre zone colà richiamati, hanno preso possesso del palazzo, ovviamente senza alcun permesso della proprietà e con l’intento di manifestare il loro disappunto per le intenzioni della stessa.

È, con piena evidenza, azione contraria alle norme che tutelano la proprietà privata e la libera iniziativa d’impresa. Ora, viene da domandarsi chi siano costoro. Trattasi di semplici abitanti che spontaneamente s’organizzano per opporsi all’arrogante usurpatore del loro quieto vivere?

Chi lo pensa, a mio parere è ingenuo. Chi qui scrive invece, considera quest’azione un’arrogante ed organizzato grimaldello per assumere il controllo di spazi pubblici e privati da parte di fazioni che hanno una determinata e circoscritta appartenenza politica. Non vi è, in questo strumento di forza e prevaricazione, alcun presupposto di condivisione in quanto essa avrebbe le connotazioni della neutralità; mentre ha denotato fin da subito il carattere i simboli gli slogan i suoni ed i comportamenti di un’appartenenza politica.

La mia sensazione è che chi non fosse parte di questa fazione e condividesse anche solo l’idea che l’azione sottende, si troverebbe nelle condizioni d’astenersi o, quanto meno, di rimanere ai margini e quindi si sentirebbe conseguentemente “emarginato”.

Se ciò ha senso si dimostra facilmente che l’attore dell’impossessamento non è un’ipotetica “cittadinanza” bensì, una parte ristretta che fa riferimento ad un determinato consenso.

sgombero ex vida venezia

Che fare?

Osserviamo i passati trascorsi. In Venezia insulare insiste il Centro Sociale “Morion”; quindi, il Centro Sociale “Zona Bandita”. Quest’ultimo, prima di avere la sua sede in Santa Croce Fondamenta dei Tabacchi, aveva preso possesso di un Palazzo lungo il Canal de Cannaregio. Un palazzo di pregio, forse del ‘500, trasformato in un luogo fatiscente e degradato. Con lo sgombero del Centro Sociale “Zona Bandita” è subentrato un ristorante bar teatro gestito da Smart Venice srl.

Quindi l’okkupazione del Palazzo in Fondamenta De Cannaregio è stata sostituita da un’iniziativa a fine di lucro basata sulla ristorazione e l’intrattenimento. Quest’ultima pare essere organica per estetica intenti e branding alla precedente okkupazione, epurata di tutti gli aspetti poco commerciali quali pavimenti sfondati muri devastati bagni distrutti e pieni di feci, abbandono e degrado.

Esistono oggi a Venezia ben due Centri Sociali operativi che accolgono coloro che condividono questo modo di vivere e pensare. Mi chiedo se non siano più che sufficienti in un centro abitato di 55 mila anime.

L’azione presso il Teatro Anatomico ha tutti i crismi di un’ulteriore appropriazione da parte di gruppi faziosi che, in quanto tali, avranno intenzione di trasformare questo patrimonio in uno strumento d’aggregazione e propaganda di un modello ideologico e quindi con nessun intento universalistico e sociale. La solita pretesa, di una notoria appartenenza politica, di mettere il cappello su ogni pretestuosa azione a cui si da la cornice di “culturale”.

Ciò perché una struttura che si voglia utile alla totalità degli abitanti e per tutti accogliente ed usufruibile per scopi culturali, deve necessariamente essere neutra rispetto a segni, simboli od ideologie. Non solo; a voler pensar male si potrebbe anche congetturare che l’okkupazione ha il semplice scopo d’impedire l’insediamento di un imprenditore sgradito al fine poi di condurre, col tempo, l’immobile al medesimo uso che ne avrebbe fatto il primo ma sotto la gestione di altri più consoni alle convinzioni ideologiche di chi ha gestito l’atto illecito e forzoso. Perché quando il locale pubblico ha l’estetica conforme alle loro ideologie non è più speculazione, non è più turismo, non è più profitto o lucro, è cultura; mentre si crea l’emarginazione per chi non si conforma.

vida teatro anatomico venezia cambio uso

Ecco quindi che la prima impressione, magari piena di lodi per l’azione spontanea del cittadino, si riempie di sfumature e mezzi toni che celano ben altre possibilità. Rendiamoci conto che la città di Venezia ed i veneziani stessi, hanno una naturale e comprensibile propensione al commercio e ciò è un fatto buono.

Rendiamoci pure conto che, per impedire una determinata iniziativa, è necessario avere già pronta un’alternativa e che i patrimoni immobiliari hanno un reddito e devono essere mantenuti. Qualsiasi intervento di restauro o di modifica del palazzo si deve confrontare con costi adeguati alla città.

Si rischia di realizzare un centro di costo, una realtà che andrà sussidiata. In tal caso, non avendo alcuna obiezione seppur nella considerazione dell’equilibrio di bilancio, pretenderei con fermezza che la gestione di uno spazio pubblico aperto a tutti, debba avere scopi universali e che non debba essere gestito da alcun privato ma dall’amministrazione stessa; sempre a patto di risarcire il malcapitato acquirente che ha osato immaginare un locale pubblico ( anch’esso dotato di caratteristiche sociali ) come quello che fu la Vida.

Caffé e ristoranti sono stati e sono tutt’ora, eminenti luoghi di aggregazione di pensatori, intellettuali, artisti ed ogni altro genere di persona, in completa autonomia e libertà.

ai lav laura boldrini

ai lav Laura Boldrini

Dopo i recenti facts che hanno visto Laura Boldrini victim di ferocious attacks da parte di potentati di casalinghe poco istruite ed artigiani evasori dalle mani sporche, la dignità ed il respect che ispira la figura di codesta rappresentante del Governo Italiano mi impone questa riflessione e questo auspicio.

Il Centro Destra; ma che dico!
anche il Centro Sinistra; ma che dico!
L’intero arco parlamentare dovrebbe adottare Laura Boldrini, darle dei prize, invitarla a meeting, farla parlare liberamente il più possibile. Senza alcun contraddittorio, darle possibilità di dirla tutta; offrirle le più ampie possibilità di ascolto da parte del più large pubblico.

laura boldrini guarda cose

Il Centro Destra; ma che dico! Anche il Centro Sinistra; ma che dico! L’intero arco parlamentare dovrebbe consentire che si eserciti quest’operazione trasparenza e libertà. Date spazio a Laura Boldrini!

Si dovrebbe offrirle un TV broadcast dedicato, una rubrica su tutte le reti nazionali agli orari best; anche le radio dovrebbero contribuire. Darle l’opportunità di dire la propria su tutto: dalla politica estera ai pannolini, dalla spesa militare alla sanità fino alle licenze di caccia/pesca a quando sia il momento migliore per concepire un figlio.

Si dovrebbe farle condurre show e quiz; farle condurre programmi d’opinione. Si dovrebbero coprire con la sua immagine e i suoi consigli, tutti gli orari dei palinsesti televisivi nazionali e, se possibile anche con rai sat.

Ovviamente dovrebbe essere ospite fisso di tutte le rubriche televisive quali: “la vita in diretta”; “domenica in”; “porta a porta”; “ballarò”; “matrix”; “che tempo che fa”; “in onda”; “di martedì”; “quinta colonna”; “pomeriggio cinque”; “annozero”; “uomini e donne”; “bontà loro”; “David Letterman”; “omnibus”; “l’infedele”; “Larry King live” eccetera. A “Forum” dovrebbe essere giudice e giuria.

laura boldrini dice cose

In caso di sovrapposizione di orari Laura Boldrini avrà diritto ad inviare una sosia certificata per sopperire alla propria assenza.

Laura Boldrini dovrebbe essere di diritto, member di tutte le commissioni per assegnazione di premi letterari, artistici, scientifici nazionali ed internazionali. L’Italy intera dovrebbe proporla come membro onorario di tutti i comitati nazionali ed international per l’assegnazione di borse di studio e di ricerca oltre che del comitato per il Nobel. Scontata dovrebbe essere la candidatura per il premio Nobel per la Pace 2018 e anni a seguire.

Non si dovrebbero trascurare anche i manifesti; dovrebbero esserci manifesti con i suoi migliori aforismi sparsi per tutto il territorio nazionale; non si dovrebbe trascurare nemmeno la Svizzera italiana e ancor meno i nostri connazionali all’estero, loro dovrebbero ricevere un bollettino quotidiano con tutti gli aggiornamenti sugli orari delle trasmissioni e gli estratti degli articoli apparsi sui newspaper.

Il mio sincero desiderio sarebbe quello che, per i prossimi vent’anni, non si parli di altro che di Laura Boldrini e delle sue idee, delle sue esternazioni, dei suoi consigli delle sue convinzioni e ideali.

Vorrei che le scuole dell’obbligo pubbliche e private avessero un’ora alla settimana di lezione dedicata allo studio della figura e delle opere di Laura Boldrini, anche senza tralasciare la sua biografia e la storia della sua famiglia le sue origini i suoi studi.

laura boldrini riflette sulle cose

Lo Stato Italiano dovrebbe assumere una cinquantina di esperti agiografi per tramandare nel tempo la parola di Laura Boldrini affinché non sia dimenticata per almeno 1000 anni e più.

Gli artisti “politically-correct” dovrebbero ricevere commesse per la realizzazione di mezzi busti e corpi interi di Laura Boldrini ( antifa ) da recapitare a tutti gli office di tutte le aziende pubbliche e private ed una statua di Laura Boldrini dovrebbe essere installata avanti a tutti i caselli autostradali d’Italia oltre che nelle stazioni ferroviarie metropolitane e negli aeroporti.

Una targa di bronzo con il volto di Laura Boldrini dovrebbe essere installata in ogni fermata di autobus. Ovviamente questi lavori artistici dovrebbero essere realizzati gratis o a spese degli artisti stessi i quali dovrebbero gioire nella pubblica piazza per aver avuto l’onore di celebrare cotanto prestigio
( north korean way of life ).

Le università ed i centri di ricerca internazionali dovrebbero istituire dei seminari per l’analisi e la divulgazione delle opere e delle parole di Laura Boldrini, corsi di laurea dovrebbero essere creati specificamente per Laura Boldrini, ci si dovrebbe poter laureare in “Laura Boldrini”.

Credo sia tutto… ai lav Boldrini!

fai contro palais lumiere

il FAI si scaglia contro Palais Lumiere

Qui sotto potete visionare la lettera che il FAI ha scritto al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per chiedere la censura del Palais Lumière.

intellettuali contro palais lumiere

Si parla di minaccia all’integrità ambientale, al paesaggio, alla natura ed alla storia di Venezia.

Trovo sostanzialmente manipolatorie le affermazioni citate; e non rispondente alla veridicità dei fatti quanto sommariamente esposto all’attezione del Presidente.

Credo che ciò abbia uno scopo: procurare una reazione immediata e irrazionale di repulsa nei confronti del progetto di Cardin.

Analizziamo insieme questa lettera:
parto dall’affermazione che vuole Palais Lumière “costruito a margine delle acque lagunari prospicienti il centro storico veneziano”.
Un’affermazione del tutto infondata.

  • Venezia è quella costruita nella laguna e quindi non è il “centro storico” ma la città fatta e compiuta. Quindi è improprio delimitare un “centro storico”. La città è nella Laguna ed è costituita da centinaia di isole PUNTO E BASTA.
  • Il punto esatto nel quale sarà costruito Palais Lumière è ad oltre 8 chilometri dal confine nord della Città di Venezia, quello più vicino alla gronda lagunare che delimita la terraferma dalle acque. Quindi il termine “prospicienti” è inteso solamente per amplificare una questione assolutamente irrilevante in quanto ad esempio l’Aeroporto di Tessera è a meno di tre chilometri dall’Isola di Murano che è parte integrante della Città di Venezia. Inoltre, tra la sede del Palais Lumière e le prime costruzioni originali della Città di Venezia è già stata collocata la Stazione Ferroviaria, struttura completamente rifatta in epoca moderna. In tal senso la presenza di Palais Lumière non interferisce con alcuna delle costruzioni più antiche della Città di Venezia; non più di tante altre già presenti nel tessuto urbano più limitrofo.

palais lumiere vista marghera da venezia

  • La collocazione del Palais Lumière coincide con insediamenti industriali abbandonati ma anche con insediamenti di strutture moderne attualmente operanti le quali non hanno alcunché in comune con la Città di Venezia e tantomeno sono state costruite secondo presunti principi di compatibilità ambientale con quella Città. Mi riferisco al “Vega” ed alle strutture viarie che incombono sulla gronda lagunare. Se vogliamo la costruzione di Palais Lumière si distinguerà proprio per la volontà di riqualificare urbanisticamente quella zona.
  • Chi respinge l’idea di Palais Lumière dovrebbe anche opporsi al Ponte della Libertà, a Piazzale Roma, ai parcheggi multipiano ivi esistenti, alle strutture portuali per merci e passeggeri, all’edilizia dell’Isola del Tronchetto, al Ponte di Calatrava ed all’intera Stazione Ferroviaria di Santa Lucia.

Quindi si parla di integrità ambientale.
Assurdo, supporre che Palais Lumière metta a rischio l’integrità ambientale di un luogo che è stato martoriato per decenni da un’attività industriale senza scrupoli che ha inquinato gravemente il suolo e degradato violentemente la vita degli abitanti.
Assurdo pensare che una struttura che si realizza per la residenzialità possa essere peggiore di costruzioni adibite alla speculazione industriale.

Si parla di paesaggio!!
L’esistente è un luogo squallido e avvilito da fanghi tossici, sostanze velenose, piante che non attecchiscono e muoiono in pochi mesi, acque torbide e oleose, resti corrosi di strutture edilizie fatiscenti che un tempo erano depositi di concimi chimici e derivati del petrolio.

Si parla di natura!!
In un contesto completamente dimenticato dai “pensatori alti” che abitano palazzi signorili e si dimenticano delle condizioni terribili alle quali il popolo ha dovuto vivere e lavorare a Marghera.
Oggi costoro si accorgono e parlano di natura!!
Oggi! Quando qualcuno intende dare valore a quei luoghi di fatica di rischi di malattie di morte.

Si parla di storia!!
Ma di quale storia?
Quella di Venezia?
Cosa centra con Marghera?
La storia passata di Marghera era il bosco, la palude, il luogo di caccia dei veneziani della Serenissima. Quella storia è cancellata e distrutta, irrecuperabilmente affondata nell’oblio.
L’unica storia di quei luoghi è il Forte Marghera che giace abbandonato coperto di arbusti. Quel Forte magari, con la costruzione del Palais Lumiére, potrebbe riacquistare un senso ed essere recuperato alla fruibilità pubblica.

Mi chiedo infine come possano, persone che godono di tale reputazione e prestigio, ergersi con tale supponenza contro Palais Lumière, senza aver approfondito minimamente le questioni reali che incidono su quei luoghi, quell’ambiente, quel paesaggio, quella storia e quel patrimonio; così come credo di aver modestamente contribuito con questo mio scritto.

eremita confuta settis

il dr. Eremita confuta il sermone del prof. Settis

Giovedì 29 Novembre 2012 alle ore 20.00 presso l’Aula Magna dell’Ateneo Veneto, con la collaborazione del Centro Tedesco di Studi Veneziani, si tiene un incontro pubblico del prof. Salvatore Settis avente titolo “Se Venezia muore.”; nell’ambito di un convegno organizzato in occasione del centenario dell’opera di Thomas Mann “La Morte a Venezia”.

eremita vs settis ateneo veneto venezia

Per mera curiosità personale mi reco all’incontro. L’aula è completamente piena di gente. Proprio nel momento in cui il prof. Salvatore Settis è in procinto di prendere la parola scattano le sirene che avvisano dell’imminenza di un’alluvione. Il pubblico accoglie subito con brontolii e disapprovazione l’intimidatorio segnale sonoro. Settis prende quindi la parola e fa una battuta proprio sulla questione delle alluvioni per inquadrarle in un contesto di decadenza ed abbandono della città; ma poco dopo, con la medesima asprezza, egli si scaglierà contro le opere del M.O.S.E..

Il professore, quindi, inizia a leggere un suo manoscritto. Comprendo subito che si tratta di un sermone.
Un sermone all’antica basato sulla forma retorica dell’invettiva. Un sermone di quelli dei vecchi che sempre l’hanno a morte con i giovani ai quali vorrebbero negare ogni diritto, negare ogni possibilità, anche quella di sbagliare.

Cosa dice allora il prof. Settis?
Tante cose condivisibili. L’Italia è troppo cementificata: vero. Si costruiscono metropoli sempre più grandi e verticali: vero. Questi enormi complessi urbani non sono a misura d’uomo: vero. Si consumano sempre più risorse e s’inquina l’ambiente: vero.

Quindi egli entra più nello specifico e parla di Venezia.
Attacca la questione delle Grandi Navi reprimendo l’ignobile usanza di farle “inchinare” davanti a Piazza San Marco, luogo sacro ai Veneziani e alla storia.
Attacca il M.O.S.E., giudicandolo un’opera inutile e foriera di enormi spese pubbliche e dello stravolgimento della Laguna di Venezia.
Attacca il Ponte di Calatrava e quell’alberghetto insulso che si ergerà presto al suo fianco.
Attacca le scale mobili arancioni dell’Archistar di turno che metterà le mani sul Fondaco dei Tedeschi.
Attacca quella spaventosa idea della Sublagunare.
Attacca Veneto City.
Infine attacca Palais Lumière.

eremita confuta settis ateneo veneto venezia

Molte cose sono condivisibili ma; c’è un ma, signori. Pare infatti che tutta la manfrina sia innescata per il semplice scopo d’impedire la costruzione di Palais Lumière. Pare infatti che tutte le altre “opere” siano ormai decadute in una realtà fatalista alla quale nulla può essere opposto. Pare infine che tutto il male si concentri attorno al Palazzo di Cardin.
E perché?
Forse perché Cardin non è dotato della protezione politica dei Benetton o dei Coin o dei De Marchi o dei Mossetto?

Il prof. Settis si rivolge alla pancia della gente; evita ragionamenti troppo complicati e si fa forza con la storia e con immagini apparentemente antitetiche, per esacerbare gli animi del pubblico meno preparato e più disposto ad un’irrazionale indignazione. Esaminiamo meglio le sue tesi.

Prima tesi: egli, prima si scaglia contro la nostra civiltà moderna che costruisce metropoli sempre più grandi e disumane poi egli idealizza e cristallizza un passato in cui ogni cosa era a misura d’uomo, un passato idilliaco nel quale l’uomo era in armonia con la natura…
Credo che questa lettura sia antistorica. Ritengo infatti che l’umanità non sia assolutamente cambiata dai tempi della Serenissima ad oggi. I cambiamenti sono stati altri. Sono cambiate le risorse energetiche e i mezzi tecnologici. Settis porta ad esempio un confronto di una città Cinese con Venezia per voler dimostrare che la città orientale è un pessimo esempio di civiltà fondata sulla sopraffazione e l’alienazione delle masse, mentre Venezia è un esempio positivo di città a misura d’uomo. Le cose semplicemente non stanno così.

eremita confuta settis venezia e shangai

La differenza tra Venezia e una metropoli moderna è solamente nelle fonti energetiche e nella tecnologia. Qui riporto la città di Shangai e di seguito la città di Venezia. Ebbene, ai tempi della Serenissima esisteva la trazione animale, quella a braccia e a vento. Il legno e il carbone erano i combustibili a disposizione.

Gli elementi costruttivi erano il legno, la calce, i mattoni, la pietra, un poco di ferro e il piombo. Tutto era sorretto dalle braccia umane. Venezia, per l’epoca, era la Shangai di oggi: una metropoli popolatissima con tutti i problemi che questo comporta. Gli scarichi erano incontrollati. Reflui maleodoranti scorrevano nelle calli e nei canali. Accattoni, malati e infermi di mente popolavano la pubblica via; quotidiane erano le manifestazioni di violenza e malversazione. Ovunque pullulava la prostituzione e girare per le calli di notte significava rischiare la vita. Poca o nessuna era l’assistenza sanitaria, per i limiti insuperabili della scienza medica del tempo.

Inoltre, per costruire Venezia furono usati un’innumerevole quantità di alberi che furono sottratti ai boschi Veneti e Slavi; mentre milioni di tonnellate di pietra d’istria giunsero dalle coste Croate.

Settis vive da Professore e non comprende il senso reale della storia ma solamente quella asettica e purificata delle storiografie agiografiche che cedono alla seducente idea di ignorare le sofferenze quotidiane dei popoli per concentrarsi sui cosidetti “grandi fatti”.

Ebbene Shangai oggi offre all’uomo la medesima prospettiva che offriva Venezia, solamente in scala esponenziale; ma in proporzione alle risorse energetiche e tecnologiche in gioco. Certo, essa schiaccia l’uomo ben più di quello che fece Venezia; ma la città lagunare, con la sua magnificenza aveva allora il medesimo scopo che oggi hanno i grattacieli: dopo la praticità e l’efficienza; intimidire e mettere in soggezione il visitatore; rappresentare la forza ed il potere della classe dirigente, inorgoglire il popolo e tenerlo stretto sotto l’ala protettrice della classe dominante.

Shangai è costruita con risorse più efficienti: il petrolio, l’elettricità, con le tecnologie moderne dell’acciaio del cemento del lavoro industrializzato e seriale. Venezia è un frattale di Shangai o di qualsiasi altra metropoli del nostro tempo. Le visioni di Settis sono sensibili ad un’immaginazione new age ma hanno poco a che fare con la realtà.

Tant’è che il nostro Professore si avventura anche nella citazione dei Futuristi, strumentalizzando le loro provocazioni a favore della sua tesi.
Egli infatti cita gli artisti del progresso come fossero stati uomini d’affari o speculatori pronti ad asfaltare il Canal Grande e a costruire ponti di ferro su Venezia… Ridicolo!!

I Futuristi lanciavano le loro provocazioni per smuovere l’ambiente dell’arte e della cultura accademica italiana, incartapecorito e ancora legato all’estetica neoclassica. Non fa certo cultura chi strumentalizza addirittura l’arte in questo modo!

Seconda tesi: Salvatore Settis fa appello alla legalità ed alla residenzialità di Venezia.

A chi sono rivolti questi messaggi?

È incomprensibile… posso solamente pensare che siano lo sfogo di un vecchio veneziano. Sono tematiche ormai quotidiane nella città di Venezia che vengono appiccicate quà e là nelle esternazioni pubbliche sempre col medesimo scopo: avere il consenso della folla e dire alla folla quello che essa vuole ascoltare.

Nulla, nelle parole del Professore, ha il benché minimo riferimento ad una soluzione ad una proposta positiva ad una visione che vada oltre l’orizzonte astioso di un anziano.

Come si pone il Professore sulla questione che tutte le “opere” che egli critica con severità, richiamando grandi principi e grandi concetti astratti, sono state realizzate da una Giunta retta da un altro Professore, il Cacciari, con il quale magari il nostro intrattiene ottime disquisizioni nei salotti locali?

Siamo difronte a persone che contraddicono sé medesime?

Terza Tesi: ecco infine il fulcro di tutto questo lungo sermone, Palais Lumière.

eremita confuta settis palais lumiere

Interessante come tutto il grande giro di parole e di concetti, tanto alti quanto poco concreti e per nulla basati su un’analisi reale del territorio e sulle sue potenzialità economiche e di sviluppo, si voglia infine far convogliare in un attacco focalizzato sul Palais Lumière. C’è da pensare che solamente quest’ultimo sia in effetti lo scopo di questo monito: “Se Venezia muore.”

Infatti è proprio così. Passan due giorni dalla sera dell’incontro pubblico ed ecco una plateale raccolta di firme di presunti uomini di cultura, di quella che un tempo si definiva “intelligenjia”, per l’oscuramento e la censura del progetto lanciato da Pierre Cardin.

E prima??
Dove erano questi furibondi acculturati quando si vendeva il Fontego dei Tedeschi; Cà Vendramin; Cà Corner della Regina?
Eran forse seduti nei salotti buoni a discorrer di cultura?

Se vogliamo far cultura, se vogliamo rivolgerci alla cittadinanza avendone rispetto; non possiamo presentarci con l’autoreferenzialità boriosa del Professore; ma con l’empatia e l’umiltà che son l’unica vera essenza dell’uomo colto. Presentarci esponendo alla cittadinanza quale sia la realtà dei fatti che accadono ogni giorno.

Epilogo. Ebbene si sappia che la famiglia Coin acquista immobili del Comune di Venezia a prezzi oggettivamente contenuti ottenendo anche uno sconto di dieci milioni di euro su quello che sarebbe dovuto al Comune in standard pubblici.

Si sappia che i Benetton si portano via il Fontego dei Tedeschi per una cifra esigua e ci fanno dentro un centro commerciale, ottenendo anche loro simili sconti milionari sugli standard pubblici.

Si sappia che al Lido sono in atto speculazioni per la costruzione di una darsena da oltre mille posti per navi di cento metri, dopo le decine di milioni gettati in un buco pieno d’amianto.

Si sappia che il PAT pianifica l’edificazione del Quadrante di Tessera su una zona umida soggetta ad alluvioni ed anch’esso travalica quanto sarebbe sensato in termini di cubature, oltre che essere di fatto un colabrodo che consente tutto ed il contrario di tutto.

In un contesto urbano che da anni soggiace a dinamiche del genere.

In una realtà quotidiana che nulla concede al singolo privato cittadino, che nemmeno può aprire un lucernario e tutto concede al grosso investitore che è pronto a sventrare palazzi storici.

In un contesto tale, ci ritroviamo difronte a un gruppo d’intellettuali, che si scagliano contro quest’opera…
Perché?

eremita confuta settis palais lumiere

Cardin finanzia la costruzione del Palais Lumière con 500 milioni di euro. La Torre sorgerà a Marghera, per chi lo sapesse si tratta di una zona post-industriale fortemente contaminata ed economicamente depressa. È una zona sulla quale le Giunte Comunali di Venezia avrebbero dovuto investire per sviluppare il contesto urbano valorizzandolo; ma non lo fecero.

Le Giunte Cacciari, Costa e poi ancora Cacciari e quindi Orsoni hanno abdicato alle loro funzioni in quel territorio del Comune di Mestre, abbandonando la popolazione a sé stessa.

L’intervento di Cardin si pone non in contrasto ma in supporto alle mancanze ed alle deficienze di quelle Giunte.

Forse è per questo che il Palais Lumière è tanto temuto?

Forse perché esso mette alla berlina gli interessi speculativi di queste Giunte che hanno preferito il Quadrante di Tessera alla rinascita ed allo sviluppo di Marghera?

Questa coraggiosa scelta di Cardin, questa eredità che un grande imprenditore partito dal nulla vuol lasciare a Venezia, va accolta con entusiasmo!

Sarà il punto di partenza per un’opportunità di rinascita della città anche dalla via di terra e per la rivalutazione della gronda lagunare devastata da mezzo secolo di speculazione industriale.

Personalmente non accetto il modo di esprimersi che piace ai veneziani che amano indignarsi per sport e per invidia, lontano un milione di km dalle visioni degli antichi Dogi della Serenissima che son stati grandi costruttori e pianificatori.

Fermiamoci ad analizzare i fatti ed a calcolare bene costi e benefici delle nostre imprese, prima di scagliarci come pazzi contro le questioni senza arrivare ad alcuna soluzione e quindi a dover subire le decisioni di altri limitandoci poi ad un penoso piagnucolio o ad un brontolio da vecchi universitari che non han mai fatto un lavoro manuale.

Settis si è scagliato contro il grande dono di Cardin con riottosa miopia e ristrettezza di vedute…
Altro che cultura.

Addirittura Settis ha lamentato che la Torre Cardin avrebbe rovinato lo sky-line di Venezia!!
Ma siamo seri!

Attualmente dalla Riva delle Zattere possiamo ammirare il deprimente scenario della zona industriale di Marghera con torri per esaurire i gas della raffinazione del petrolio, silos abbandonati e strutture metalliche per il trattamento del metano.

eremita confuta settis marghera

Questo sarebbe lo sky-line da proteggere?

Senza il Palais Lumière Marghera è spacciata; nessuno ci metterebbe le mani per decenni, tutto sarebbe spostato verso est alla volta dell’aeroporto e del Quadrante di Tessera. Marghera rimarrebbe un sobborgo povero e degradato, un futuro Bronx.

Palais Lumière sancisce una svolta e finalmente riporta l’attenzione dell’opinione pubblica e dell’elettorato verso Marghera che ha buon titolo per essere la città giardino adiacente a Venezia e sempre più legata al Serenissimo Giglio Lagunare.

Consideriamo anche che tale costruzione non toglie nulla al territorio essendo l’area già edificata e dedicata ad attività umane, anzi, essa sarà la spinta per una ampia bonifica e rivalutazione di tutta la zona.

Accogliamo il mecenate Pierre Cardin mettendo da parte afflizioni personali ed invidie; questo personaggio andrebbe accolto con gli onori di un Principe. W Venezia!! W San Marco!!

cattivo gusto beffa stazione ferroviaria di bologna

Dissertazione#37 il cattivo gusto è anche una beffa?

Dalla metà degli anni novanta, nella sala d’aspetto luogo della strage ( Stazione Ferroviaria di Bologna 2 agosto 1980 ), sono appesi due dipinti. Ad aprile 2017 ho voluto fotografarli e cercare di dare loro una spiegazione, una motivazione del loro essere esposti all’interno della sala d’aspetto della Stazione Ferroviaria di Bologna. Eccoli qui:

cattivo gusto beffa stazione ferroviaria di bologna

cattivo gusto beffa stazione ferroviaria di bologna

Il punto è che non c’è alcuna spiegazione e, per chi scrive, nemmeno una giustificazione estetica perché questi dipinti siano esposti là; se non perché essi siano stati “donati” da un gruppo di enti quali: Associazione Provinciale Albergatori; Camera di Commercio Industria Agricoltura Artigianato di Bologna; C.U.C.E.T.S. Viaggi Bologna; Dopolavoro Ferroviario Bologna. Donati da costoro immagino significherà che siano stati acquistati all’autore o al legittimo proprietario degli stessi.

cattivo gusto beffa stazione ferroviaria di bologna

Questo aspetto, che potrebbe sembrare assolutamente accessorio, svela le reali condizioni dell’arte contemporanea nel suo rapporto diretto con la società civile. Un rapporto di comodo ormai compromesso e degenerato a semplice capriccio “décoratif” mutilato anche dell’urgenza estetica e quindi finalmente ridotto a mera “vitrine d’artiste”; per mezzo della quale alcuni influenti personaggi elargiscono al loro affezionato “creativo”, un’artificiosa quanto immeritata visibilità.

I dipinti sono intitolati “omaggio a Giorgio Morandi”. Un omaggio del quale l’artista bolognese del primo novecento farebbe volentieri a meno. Sono eseguiti con mano rozza priva del minimo talento grafico. La composizione è infantile e sconclusionata, sul genere di trascurata e squallida vetrina di bottega.

Non hanno nemmeno lo spirito dell’omaggio in quanto paiono più che altro un fallimentare e vano tentativo d’emulazione; che sortisce il risultato di sminuire il lavoro di Morandi; già conservato nelle sedi opportune.

Osservandoli si prova un senso di fastidio nei confronti di chi li ha creati per la presunzione di volerli esporre pubblicamente e di chi ha avuto anche la sfrontatezza di acquistarli per dar loro questa assurda collocazione.

Un omaggio indegno quindi; ma anche una decontestualizzazione che pare voglia irridere e beffare la tensione evocativa di questi luoghi. Un inserto di banalità e sconcertante demenziale imperizia tecnica. Sembra una farsa; ma forse è proprio una farsa; un ulteriore sfregio che si vuol concedere a chi ha sofferto.
Sono opere senza drammaticità, senza pathos, senza cuore, senza coraggio, senza rischio e potrei continuare. Sono solamente un nonsense gratuito e, come detto, beffardo; che pare voglia proprio prendersi gioco dei luoghi, della storia, delle vittime, dei superstiti, della memoria.

Quei locali sono carichi di gravosità e di tragedia; sacri come un luogo di culto laico; e poi, alzando appena lo sguardo, si viene colti dal disgusto per questi colori piatti e queste forme raffazzonate e maldestramente disposte sul supporto. Un cilestrino imbecille, un improbabile profilo di Capostazione ( pare ); un “mappamondo” oltraggioso; Il nome di “Carlo Alberto” che potrebbe essere sia Carlo Alberto Pizzardi che Carlo Alberto Nucci, il primo benefattore e Sindaco di Bologna, il secondo ingegnere nel settore elettrico docente universitario. Nell’altro dipinto un compendio di emulazioni di opere di Morandi, addirittura una dipinta con la cornice ed i chiodi che ne simulano l’esposizione.

Chi scrive onestamente si domanda come, una città ed una comunità quale quella di Bologna, possano aver adottato questa iniziativa, possano aver digerito questa molesta presenza in quei luoghi, possano ancor oggi continuare a farlo. Forse è l’indifferenza che ha prevalso; sterilizzando ogni attenzione e sensibilità ai fatti dell’arte; nella rassegnazione a viverne solamente i fenomeni classici, antichi, lontani nel tempo.

veneziano medio

il veneziano medio: il bagno in canale, nostalgie e rabbia

Come qualsiasi popolo che si rispetti, anche il veneziano è propenso a criticare il prossimo ma ad essere indulgente verso sé stesso. Ecco l’annosa questione del turismo di massa che pare abbia preso d’assedio Venezia.
I veneziani si sentono avviliti da certi comportamenti che considerano un insulto alla città; ma alcuni di essi erano la normalità, in un lontano passato in cui la miseria e la fame erano diffusi.

Tra questi comportamenti c’era l’usanza di farsi il bagno in canale. Forse per le famiglie povere era arduo raggiungere il mare; magari frequentato da un turismo elitario se non proprio di censo nobiliare, quindi, nelle afose calure estive non c’era rimedio migliore, almeno per i più giovani, di buttarsi nelle acque dei canali e lì imparare a nuotare rinfrescandosi.

veneziano medio ottocento

Oggi i veneziani stanno bene, anche grazie alla moltitudine di visitatori ed ospiti internazionali che spendono i loro soldi in città; non hanno più bisogno di rinfrescarsi in laguna. Molti di loro possiedono veloci motoscafi che guidano con perizia ma anche con incoscienza per meravigliare le giovani concittadine; il mare lo fanno all’estero in località esotiche.

Chi potrà più raccogliere l’eredità di quei pomeriggi passati a sguazzare nei canali, nelle “piscine” nei rii, insieme ai compagni di scorribande estive?

Solamente il turista più smaliziato e sempliciotto potrà farlo. Egli, con serena semplicità, sopraffatto dalla calura, dopo ore ed ore a camminare nell’incanto veneziano, vedendo quei flutti invitanti che richiamano la rilassatezza della spiaggia, non può resistere e si tuffa. Inconsapevole riprodurrà ciò che fu un uso antico ormai defunto; magari nascosto per lunga pezza come qualcosa di cui vergognarsi.

I tempi, però, incalzano ed ecco che sorge il micidiale socialnetwork; moderno frullatore delle coscienze collettive, che propina a tutti in diretta e in ogni singolo monitor portatile, notizie sfornate a ritmi che farebbero impallidire le catene di montaggio fordiste.

Qui succede tutto ed il contrario di tutto. Ecco i veneziani che si accorgono di essere nostalgici, che rispolverano vecchie fotografie degli anni che furono. Cadono in estasi davanti a quei colori stantii a quelle tonalità seppia che ritraggono gruppetti di persone dimesse e vestite molto alla buona mentre vivono la loro città nei momenti più banali.

veneziano medio oggidì

Ecco che vedono la vecchia foto dei bimbi che nuotano e giocano nelle acque torbide dei canali, allora ben più luride, causa gli scarichi fognarii privi d’ogni presidio. Le reazioni sono di grande affetto, nostalgia, passione amorosa della rimembranza di fantomatici “bei tempi andati” in cui tutto era più bello, più vero, più buono.

Ecco allora che vedono la foto scattata in digitale oggidì. Una fredda fotografia HD scattata in fretta; ed in fretta resa pubblica a milioni e milioni di spettatori che, senza alcuno sforzo se la scambiano se la ritrasmettono in mondovisione. Le reazioni scomposte non si fanno attendere. Insulti maledizioni e pernacchie vanno all’indirizzo degli accaldati signori che hanno osato detergere le membra nei canali veneziani. Si augura loro morte per la funesta “leptospirosi”, dimenticando che siamo in acque salmastre non ferme. Si augura loro una forma di colera, dimenticando che il sistema delle fosse settiche a Venezia è quasi al cento per cento e che il colera era endemico ai “bei tempi andati” delle foto seppia.

Si dimentica un poco tutto per lasciarsi andare alla furia del linciaggio virtuale. Per carità, è vero; Venezia merita rispetto; ma anche la storia lo merita. Leggere questi fatti come qualcosa che ritorna, che è umana, che è azione del vivere la città; in un modo diverso da un passato che ( per fortuna! ) non tornerà mai più ( si spera ).

infamie sudamericane

infamie sudamericane

Pubblico qui, il link a questo ABOMINEVOLE articoletto che infanga la memoria di Piazzola Pugliese Yupanqui e Borges.

Questo articoletto non tiene in alcun conto della storia moderna dell’Argentina, delle decine di golpe che si susseguirono, della politica familista di Peron.

Dal mediocre pezzo di basso giornalismo-gossip, pare che, prima del golpe, l’Argentina fosse un paradiso democratico e, dopo il golpe, fosse calata la notte.
Assurdo, antistorico, demenziale!

Gli artisti qui menzionati s’illusero che questo ennesimo golpe avrebbe portato ordine e la fine del terrorismo.
Sbagliarono a illudersi?

Se pensate di si, significa che rifiutate l’idea che possano esistere gli artisti; poiché gli artisti son coloro che spesso s’illudono e confidano nelle potenzialità positive dell’uomo. Salvo poi esserne delusi.

Beethoven s’illuse che Napoleone fosse patrono della libertà; salvo poi esserne deluso quando si fece incoronare imperatore.

piazzolla pugliese yupanqui borges

Piazzolla, Pugliese, Yupanqui, Borges, non furono fascisti o collaborazionisti e non furono complici delle stragi del dittatore.

Aggiungo che Videla promosse il tango quale esempio della cultura nazionale; e c’è qualche tanguero poco informato, che ebbe a dichiarare che Videla censurò il tango.

È disgustoso che certa gente possa arrivare a scrivere tali nefandezze, tali delittuose infamie; e che magari riceva credito. Ecco qui sotto il link.

La colonna sonora di una dittatura

baratri di rammarico e rimorso

baratri di rammarico e rimorso

Ieri sera ho avuto notizia della pubblicazione di un articolo scientifico che potrebbe essere una svolta nello studio dell’astrofisica. Fabrizio Tamburini ed Ignazio Licata, due veri dritti nel settore dell’uso delle celluline grigie, hanno reso pubbliche le loro conclusioni in merito ad alcune rilevazioni dello spettro di determinate stelle; che, in precedenza, avevano ispirato altri eminenti studiosi nell’ambito della ricerca di forme di vita intellligenti.

fabrizio tamburini scienziato veneziano

Fabrizio ed Ignazio, putroppo non ci portano la conferma di alieni autocoscienti e tecnologici in orbita attorno ad altre stelle; ma hanno esposto quella che potrebbe essere una scoperta parimenti affascinante e colma di conseguenze nella ricerca del perché siamo qui.

ignazio licata scienziato

Ho letto l’articolo uscito su MEDIA INAF, organo ufficiale di comunicazione dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e ho capito quel che può capire un non esperto. La sera però non ho dormito. Sono stato sopraffatto dall’angoscia che poi ha aperto un baratro di rammarico e rimorso.

Rammarico e rimorso non hanno mollato la presa fino all’alba. Quando ero bambino mi dilettavo nella lettura di saggi di divulgazione scientifica, così ancora quando ero adolescente ma, al momento di scegliere l’università ho commesso un grave errore. Non ho assecondato i miei sogni. Mi sono fatto irretire da considerazioni fuorvianti e assolutamente superficiali.

Adesso ne pago le conseguenze e spesso mi capita di pensare di aver gettato la mia vita; di non aver assecondato quel bambino e quell’adolescente. La consolazione è conoscere persone come Fabrizio e come Ignazio; dei sapienti, miti e simpatici esseri umani che, con eleganza e stupenda semplicità, rimuovono pian piano i veli che coprono la verità.

Sembravano alieni, ma forse sono assioni

dissertazione1 significato arte

Dissertazione#1 sul significato dell’arte

Molte persone che si dedicano alla conoscenza per passione più che per lavoro, si chiedono oggi cosa sia l’arte. Questa è una questione che può essere divenuta di pubblico interesse con l’avvento delle democrazie occidentali ma che, nella sostanza, ha origini ancestrali. Essa, infatti, rientra a pieno titolo tra i quesiti universali:
“Perché esistiamo?”; “cos’è la vita e Dio?”.

Forse la questione è più ermetica e difficile oggi di quanto lo sia stato in passato, pur avendo un contenuto che coinvolge esclusivamente l’arbitrio umano; ma questo è il problema. La mente è di gran lunga il sistema organizzato più complesso che si conosca, retto da leggi infinitamente più raffinate di quelle che regolano l’universo intero.

dissertazione 1 arte preistorica

Ciò che la mente produce può quindi essere anche di natura enormemente articolata e può raccogliere in sé significati molteplici. Una volta che si sia consapevoli di questo, porsi la domanda “cos’è l’arte?” significa chiedere spiegazioni per un fenomeno che, per sua natura, tende a sfuggire a qualunque tentativo di definizione.

Forse, un modo per cercare di costruire un quadro che tenti di sciogliere il quesito è quello di definire l’arte senza estrapolarla dal contesto storico in cui essa si è manifestata; ma così non si giungerà mai ad una definizione univoca. Che l’arte non sia altro che un continuo svolgersi di contraddizioni?

Anche ai giorni nostri domandarsi cosa sia l’arte non è abitudine diffusa ed è indicatore dell’esercizio del libero pensiero, infatti sarà sempre ambizione dell’uomo cercare di esercitare il controllo proprio su quelle forme espressive che, per loro natura, rifuggono il controllo stesso. Quindi definire cosa sia l’arte è anche una bella responsabilità. Una definizione deve essere quanto più generica possibile e prediligere ogni aspetto tecnico.

Tuttavia risulta evidente all’osservatore disincantato come l’arte contemporanea viva un singolare paradosso capace di rendere la domanda assolutamente priva di significato e giustificazione.

Risulta difficile indagare le reali motivazioni di ciò ma la comunità, forse in buona fede, forse ingannata da una distorta visione del romanticismo, ha associato l’artista ad una visione di libertà in termini assoluti.

dissertazione 1 arte sacra

Questo concetto è stato inteso come libertà per tutti di praticare la pittura e la scultura, libertà dalle regole, dalla forma, dal contenuto e non come la fondazione di principi che sancissero la libertà d’espressione. Così pittura e scultura sono state defraudate, svuotate di qualsiasi attitudine professionale; ridotte a passatempi, se non a vezzi eccentrici accessibili a tutti, e c’è chi dice che la responsabilità di ciò sia da addebitare anche alla massificazione dei consumi e ad alcuni aspetti della cultura marxista.

In una società basata sul lavoro e la professione, in cui le categorie sono protette e tutelate dalla legge l’arte, esempio illustre di non-lavoro, avulsa al lavorio, vive il contrappasso della sua prima deregolamentazione. La pittura e la scultura subiscono l’ostracismo di un sistema inadatto a capirne il senso, in quanto sistema basato sul lavoro e sul significato borghese di “utilità”. Queste arti, più di altre, di fatto non sono professioni.
Forse che non sia anche questa una forma di controllo?

Tra la metà del XIX e la metà del XX secolo l’arte ha avuto uno sviluppo magnifico, si è consumata una rivoluzione colossale nel mondo della cultura.

Mantenere una sorta di controllo diretto sulle manifestazioni dell’arte che, come sempre, anticipa la storia, divenne impossibile alle stesse istituzioni politiche che furono poi travolte anche da epocali e traumatiche trasformazioni sociali.

Il dopoguerra fu il periodo in cui si tentò nuovamente di riprendere il controllo e il blocco sovietico lo fece con il pugno di ferro. L’occidente democratico adottò, forse inconsciamente, la “Tecnica della Babele”.

Chiunque può decidere di essere pittore e scultore e di aver diritto di partecipare a pubblici concorsi d’arte e di esporre al pubblico i propri manufatti. Questa è la Torre di Babele. Nell’imperante confusione del manicomio si disperdono le risorse e si frantumano i talenti.

L’arte contemporanea si vuole semplificata, involuta, annichilita. Pittura e scultura sono state colonizzate dalla moda, dal marketing. Le correnti che all’inizio del XX secolo rompevano le tradizioni e liberavano l’espressività ora sono divenute conformismi, texture, acronimi autocelebrativi che la svuotano di ogni senso.

dissertazione 1 insulsaggine

Tutto ciò ha reso il pubblico diffidente nei confronti dell’arte contemporanea. Il mercato dell’arte contemporanea è, di fatto, estremamente distorto e quindi inefficiente.

D’altra parte l’ossessiva associazione al denaro, alle cifre astronomiche assegnate alle opere d’artisti, snatura il significato dell’arte. Non è il denaro in sè che compie questa empietà, esso è necessario. Chi scrive non oggettivizza vilmente il reo. Il reo è soggettivo.

L’arte è strumentalizzata oggi più di quanto lo sia stata in qualsiasi altra epoca. Chi guarda l’arte spesso si preoccupa solamente del valore monetario che essa potrà avere, non si avvicina ad essa con l’umiltà di chi vuol comprenderla e quindi consumarla. L’arte così, assordata dalla Torre, non può più essere consumata ma diventa un bene d’investimento, in questo senso essa s’immobilizza.

L’arte finisce nelle mani di potenti apparati manageriali che impongono i gusti e stabiliscono i valori. Nemmeno la politica ha più potere sull’arte.

L’arte è degradata a materia e quello che ha di astratto è rappresentato solo da valori economici. Essa può essere ed è stata rappresentata sotto forma di grafico come un qualsiasi titolo azionario. Ricordate il film “L’Attimo Fuggente”, in cui un arido professore presumeva di spiegare la poesia mettendola tra un’ascissa ed un’ordinata? Questo si sta facendo oggi all’arte: alla pittura, alla scultura.

Cosa possono fare le istituzioni?
Se, come ho detto sopra, non sono condizionate da finanziatori privati sono troppo impegnate nel consenso elettorale a breve termine e così hanno perso la caratteristica fondamentale per cui sono create: la lungimiranza.

In conclusione questo posso dire oggi circa cosa sia l’arte:

  • l’arte è assordata dal rumore e resta solo l’arroganza;
  • l’arte è un fiume sotterraneo inarrestabile che bisogna saper scoprire.